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LA FESTA DEL FRIULI DEL 3 APRILE, DA CELEBRAZIONE A RIFLESSIONE.
Pier Carlo Begotti (da Messaggero Veneto, del 16 marzo 2007)

Ogni popolo, ogni nazione, ogni entità linguistica e culturale fonda la sua identità su un fatto storico, sentito come un gesto costituente l’avvio della propria specificità; spesso, questo si trasforma in mito e se ne perdono i caratteri veri e originari, vale a dire il significato intrinseco, nella misura in cui lo hanno vissuto i contemporanei.

E’ il caso, per il Friuli, della data del 3 aprile che, stando a un’esegesi sentimentale e ideologica, ma non scientifica, dovrebbe essere la certificazione dell’identità nazionale friulana, una festa istituzionale, ma con le caratteristiche di una vera ricorrenza popolare.

La “celebrazione” va prima di tutto riportata nelle sue giuste dimensioni storiche, sulla base di una conoscenza razionale e rigorosa, non data per acquisita definitivamente e fine a se stessa, altrimenti faremmo un cattivo servizio alla nostra stessa identità, ci richiuderemmo in un provincialismo sordo a ogni innovazione e alle conquiste del dibattito in corso.

La vulgata dunque vuole che il 3 aprile sia l’anniversario della fondazione dello “Stato patriarcale”, o dello “Stato indipendente friulano”. Queste affermazioni contengono una serie di inesattezze.

Per prima cosa, dovremmo evitare di parlare di “Stato” per il Patriarcato di Aquleia tra il 1077 e il 1420, così come per le analoghe istituzioni pubbliche europee dell’epoca, in quanto esse erano ben lontane dall’assumere ruoli preminenti – se non esclusivamente in campo legislativo, giudiziario, impositivo e così via. Ci troviamo pertanto in accordo con tutta una serie di scuole di ricerca storica, da Ernesto Sestan in Italia a Jesus La Linde Abadia in Spagna, che circoscrivono il concetto di Stato alle creazioni istituzionali pubbliche delle età moderna e contemporanea (e non possiamo dimenticare opere collettive come la significativa Origini dello Stato, Processi di formazione statale in Italia fra medioevo ed età moderna, curata da Chittolini, Mollio e Schiera nel 1994).

L’istituzione patriarcale era ben lungi dall’essere una formazione statale, in quanto al suo interno e nelle istituzioni che le erano legale, per esempio la contea di Gorizia, c’era ancora una concezione patrimoniale e familiare, dei pubblici poteri: una giurisdizione (che comportava anche la potestà di comminare la pena capitale, dunque di decidere sulla vita altrui) poteva benissimo essere suddivisa tra fratelli e cugini, un castellano come il signore di Prata poteva benissimo tenersi un castello patriarcale per più di mezzo secolo, sebbene fosse stato “condannato” dal Parlamento della Patria a restituirlo.

I conti di Gorizia, che pure erano gli avvocati della Chiesa di Aquileia e i loro capitani militari, facevano una distinta politica estera che li portò a combattere contro il loro superiore e a imprigionarlo. Comuni come quello di Udine, o di Cividale, avevano anch’essi una loro politica estera, contraria o favorevole a quella del patriarca a seconda delle convenienze, che li portava a stabilire alleanze dentro e fuori il Friuli, con Venezia o con Padova: tutti fatti che certo non permettono di affermare che l’istituzione patriarcale fosse uno Stato.

Quanto poi alla sua indipendenza, almeno per un secolo e mezzo fu una realtà, pur con la sua autonomia, dipendente dall’Impero. Poco a poco, è vero, maturò istituzioni proprie, allentò il suo legame con un Impero che perdeva sempre più autorità e prestigio, cominciò ad assumere – come molte altre signorie regionali – forme che si avvicinavano a quelle di uno Stato, ma il processo fu interrotto dalle lacerazioni interne e dall’incapacità dei patriarchi di istituire una Signoria che fosse al passo col il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Firenze e così via, finchè la conquista veneziana pose fine a questo possibile sviluppo.

Quanto, poi, alla composizione sociale dei ceti che avevano in mano il potere, troviamo nobili, signori territoriali dotati di “banno”, enti ecclesiastici, aristocrazie formatesi nelle città patriarcali (le “comunità”), mercanti e banchieri, ma non troviamo certo il “popolo”: lo stesso Parlamento, così tanto mitizzato da ritenerlo una democrazia (!), era un consesso di castellani, abati, vescovi, alti prelati che vi entravano per diritto ereditario e non erano affatto eletti.

Ma poi: il Patriarcato era una istituzione “nazionale”, esclusivamente friulana? Nient’affatto: in primo luogo non comprendeva tutto il Friuli e poi, fin dalla sua nascita, il Patriarcato fu una realtà internazionale, plurilingue, pluriculturale, che comprendeva al suo interno i parlanti sloveno, friulano, tedesco, croato, italiano, ladino, senza contare le particolarità dialettali, dal veneto al carinziano, dall’istrioto al resiano. Il fatto è che il Friuli non nacque il 3 aprile 1077, poiché esisteva già.

Fin dall’ultimo secolo del periodo longobardo, infatti, noi troviamo che la regione è chiamata con questo nome e i suoi abitanti sono i “Foroiulani” o “Foroiulenses”, cioè “Friulani”, ben distinti dai popoli confinanti. E anche la lingua friulana era già nata e occupava uno spazio geografico molto più ampio di quello odierno.

Dunque, il 3 aprile non costituisce l’atto istitutivo della nazione friulana, ma è un passaggio istituzionale, una trasmissione di poteri da un imperatore germanico a un patriarca germanico, in cui il “popolo” non compare, così come sarebbe difficile trovarlo nelle formazioni pubbliche di quel periodo. Per trovare il “popolo” attivo, consapevole della propria forza e del proprio ruolo, protagonista almeno per una volta, bisogna giungere al 27 febbraio 1511, alla rivolta contadina che anticipò gli analoghi motti dell’area germanica.

Non celebrare, quindi, il 3 aprile? Al contrario: ricordarlo, sì, ma sapendo di cosa si sta parlando, cercarne soprattutto i caratteri veri e il massaggio che può essere importante per noi oggi, a quasi un millennio di distanza dal 1077.

E il messaggio può benissimo essere quello della dimensione europea del Patriarcato, della pacifica e costruttiva convivenza di lingue, nazioni, popoli diversi sotto una unica compagine pubblica, che vuol dire opportunità per tutti di sviluppare liberamente la propria identità. E oggi, sviluppo dell’identità linguistica, vuol dire principalmente impegnarsi per la sua continuazione, quindi provvedere con fatti concreti alla sua tutela.

Ma sarebbe oltremodo importante che il 3 aprile, più che essere una “celebrazione”, fosse occasione di discussione, di approfondimento, di dibattito, con un occhio al presente e al futuro, più che al passato.





   
 
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